15/09/2012

Ozone Strike

Si è aggiunto un nuovo pezzo alla mia configurazione domestica, che ormai oserei definire ragionevolmente PRO :)

Si tratta di una nuova fiammante tastiera che va a sostituire quella Logitech G510 che non è mai riuscita a fare veramente breccia nel mio cuore geek.
La nuova arrivata si chiama Ozone Strike, e si tratta di una tastiera meccanica (per chi non avesse dimestichezza con questo genere di dispositivi consiglio una veloce occhiatina all’ottima guida sul sito Overclock.net) e rappresenta un vero salto di qualità per un dispositivo (la tastiera appunto) troppo spesso sottovalutato e dato per scontato.

Non mi dilungherò troppo in elogi alla vecchia Logitech G510, che per me ha rappresentato una delusione e un oggettivo peggioramento rispetto alla tastiera che usavo in precedenza (una Illuminated Keyboard sempre di Logitech).
La G510 ha rappresentato il mio ritorno alla tecnologia a membrana (economica e qualitativamente inferiore sia alla tecnologia scissor tipica delle tastiere da laptop che a quella meccanica come la nuova Strike), quindi una regressione notevole, il tutto ad un prezzo da furto con scasso (85 sanguinosissimi euro).
Quindi perchè lo feci? Volevo provare lo scintillante mondo delle cosidette gaming keyboards, ovvero una delle più spudorate e pacchiane vaccate commerciali che l’industria del gaming sia riuscita a partorire (al confronto i tendifilo da mouse brillano per utilità…), riassumibile con questa semplice fomula “prendi una tastiera economica da 10 euro, piazzaci inutili display, tasti macro altrettanto inutili, mirabolanti funzioni antighosting, porte usb un po’ ovunque, retro-illuminazione dei tasti e qualche altro inutile ammennicolo (chessò un controllo per le tapparelle elettriche…), e spaccialo per dispositivo indispensabile per entrare nell’olimpo dei videogiocatori, il tutto ad un prezzo assolutamente ingiustificato” :(

Consapevole di aver fatto “La Cazzata” ho deciso di riparare con qualcosa di qualitativamente buono, anche se non a buon mercato, ovvero una tastiera meccanica.
Ho scelto questa Ozone Strike perchè incuriosito dagli switch Cherry MX Black, perchè onesta nel rapporto prezzo/qualità, perchè facilmente reperibile sul mercato, e perchè esteticamente mi piace (il che non guasta mai…).

Il feedback con i tasti è stato ottimo fin da subito, come qualsiasi tastiera meccanica questo aspetto rappresenta il vero salto di qualità e non può lasciare indifferenti.
La digitazione è velocissima nonostante questi switch risultino essere quelli che richiedono una maggiore forza di attuazione, la cosa che più colpisce è la totale uniformità tra i tasti (il che è ovvio considerando che sotto ciascun tasto c’è lo stesso tipo di switch meccanico) che rende la digitazione estremamente confortevole.
Riguardo a questo aspetto l’unico malus è rappresentato dal rumore prodotto, come tutte le tastiere meccaniche anche questa Ozone Strike è molto più rumorosa rispetto ad una tastiera a membrana (e ovviamente anche rispetto ad una scissors da laptop), e pur non raggiungendo le vette delle tastiere “clicchettose” IBM Model M (o di quelle dotate di switch Cherry MX Blue) non si può rimanere indifferenti di fronte al piacevole impattare dei tasti sul piano su cui sono montati gli switch (cosa che però i colleghi di lavoro potrebbero non gradire :D).

Per il resto la Ozone Strike si dimostra una tastiera davvero solida, il peso è nella media per un tastiera meccanica, il che significa molto più pesante di una tastiera a membrana economica, ma comunque meno pesante di una IBM Model M.
Sul retro sono stati piazzati due inutili porte USB 2.0 e gli ingressi mini-jack 2.5″ per cuffie e microfono, alcuni li troveranno comodi, per me sono la sintesi dell’inutilità anche perchè per usarli è necessario ruotare la tastiera.
Da notare il grande cavo con calza, di una rigidità pari a quella delle funi usate per ancorare le petroliere.

Nella confezione oltre alla tastiera è presente un poggiapolsi (generalmente non uso mai questo genere di accessorio che trovo fastidioso, in questo caso l’ho trovato meno inutile del solito, abbastanza comodo ed esteticamente appagante, pertanto ho deciso di lasciarlo montato), una pinzetta in plastica per smontare i keycap e 4 keycap aggiuntivi di colore rosso per i tasti WSAD.


31/08/2012

E finalmente fu upgrade!

Finalmente ce l’ho fatta! Dopo 3 anni e mezzo di onorato e glorioso servizio ho mandato in pensione il mio vecchio sistema basato su CPU Penryn per un nuovo fiammante Ivy Bridge!

Nelle ultime settimane ho letteralmente fatto i salti mortali per poter avere a disposizione tutto l’occorrente per questo upgrade entro l’inizio delle mie 3 agognate settimane di ferie, non avendo in programma mare, monti o viaggi di alcun tipo questo upgrade doveva essere la punta di diamante di queste ferie!
Purtroppo però ci si è messo di mezzo il celebre store Drako.it, e la mancata disponibilità della ram prescelta (Corsair Dominator Platinum PC3-15000) ha quasi fatto fallire il mio piano diabolico; per fortuna è arrivata in mio soccorso Amazon con un paio di banchi di DDR3 da 1333MHz alla modica cifra di 20 euro, banali quanto provvidenziali allo scopo (e già pronti ad essere rivenduti a prezzo di acquisto non appena arriverà la ram prescelta).

Prima di addentrarmi nei dettagli vorrei dedicare un piccolo spazio per onorare la memoria del mio vecchio sistema, che non verrà certo cestinato ma destinato al nobile ruolo di server vmware domestico.
Onore a te mio prode sistema! Grazie a te ho passato avventure indimenticabili, sei stato la colonna portante dei miei divertimenti videoludici negli ultimi 3 anni e mezzo, con te ho passato la più intensa esperienza mmorpg della mia carriera,  indimenticabili serate multiplayer a Battlefield Bad Company 2 e Battlefield 3, ho partecipato a innumerevoli lanparty e visto cose che voi uomini non potete immaginare…(cit)
Sei stato il mio primo sistema Intel dopo una lunga militanza AMD, hai servito bene il tuo padrone, ora riposa sereno cullato tra le braccia di un hypervisor!

Bando alle ciance ed entriamo nei dettagli.
Tutto è cominciato a inizio maggio, quando la prematura dipartita della mia vecchia GPU Radeon HD4980 ha di fatto dato il via alle danze con l’acquisto di una fiammante Sapphire Radeon HD7850 OC.
Conscio che tutta questa potenza non sarebbe stata sfruttata dal mio precedente sistema mi sono messo in moto per approntare un veloce upgrade; l’obbiettivo iniziale era quello di un sistema puramente da gaming basato su cpu Core i5 (sempre su architettura Ivy Bridge) con moltiplicatore sbloccato e quindi fortemente improntato all’overclock.
Documentandomi e sondando diversi forum invece ho deciso di optare per un Core i7 3770 liscio, i motivi? Rapporto potenza/assorbimento migliori, hyperthreading e supporto completo alle estensioni per la virtualizzazione.

Riguardo alla mainboard ho avuto molti meno dubbi, la piattaforma di riferimento è l’ottima Intel Z77 (cosa che per altro mi permetterebbe di sperimentare un array raid0 con unità SSD attivando il trim), mentre per il produttore della mainboard ho deciso di affidarmi a Gigabyte, marchio storico che però non ho avuto mai modo di sperimentare direttamente.
Dopo un attento confronto tra i modelli disponibili ho scelto il modello Z77X-UD5H, probabilmente il più espandibile e ricco di funzionalità (con l’esclusione della irraggiungibile G1.Sniper 3), dotato per altro di slot mSATA indispensabile per testare questa benedetta tecnologia Intel Smart Response.

Come dicevo in precedenza per la ram ho dovuto affidarmi a dei normalissimi e onesti banchi di Corsair DD3 da 1333MHz, niente di eclatante e svolgono più che bene il loro sporco lavoro. Vedremo se ci sarà un salto di qualità quando arriveranno i tanto agognati banchi di Corsair Dominator Platinum da 1866 MHz.

Per quanto concerne la dissipazione della cpu ho deciso di fare il grande passo e testare un kit di dissipazione a liquido Corsair, vista la scelta della CPU ho optato per il modello H60, se avessi optato per un approccio votato all’overclock probabilmente mi sarei buttato sul più performante H70.

L’assemblaggio è stato molto ordinato e non ha presentato particolari difficoltà, come già avevo letto su diverse recensioni l’installazione del radiatore per l’H60 ha richiesto qualche contorsionismo di troppo, ciò nonostante è andato tutto liscio come l’olio e per il momento devo ammettere di essere estremamente soddisfatto del risultato.
Le temperature di esercizio in idle si aggirano attorno ai 30-33 °C (ottimo considerando le temperature infernali che ci ha regalato questa estate africana) mentre sotto stress arrivano di poco a superare i 60 °C con picchi di poco sopra i 65 °C, niente male considerando che la configurazione dei flussi all’interno del mio case è ancora “work in progress” mancando la ventola di estrazione frontale.
Dal punto di vista acustico niente da eccepire, lasciando al sistema il controlla della ventola del radiatore in idle il sistema Corsair H60 è praticamente inudibile, mentre sotto stress qualcosa si sente pur restando entro range accettabilissimi; prevedo di migliorare notevolmente questo aspetto configurando per bene la curva di incremento del regime di rotazione in rapporto alla temperatura, che ai valori di default è tantino troppo ripida.
Una volta terminato questo è l’effetto che dovrei ottenere.

Sul versante storage devo registrare le ottime performance del controller SATA integrato nel chipset Intel Z77, collegando il mio SSD Crucial M4 ai canali da 6Gbps le prestazioni sono letteralmente schizzate a valori che sul precedente sistema potevo solo sognare, date un’occhiata voi stessi.

Intel P35 SATA 3Gbps

Intel Z77 SATA 6Gbps

Tirando le somme posso dire di essere estremamente soddisfatto di questo upgrade, ci sono ancora aspetti da migliorare sia hardware che software, ciò nonostante devo dire che l’impatto è stato notevole soprattutto sul gaming.
Il solito Lotro ormai gira a oltre 200 fps in 1920×1200 DX11 con dettagli al massimo e AA 8x, Battlefield 3 finalmente è pienamente giocabile a dettagli alti rimanendo costantemente con un frame rate superiore a 50 fps, mi sono goduto The Witcher 2 a dettagli pieni (disattivato solo il parametro ubersampling in grado di piegare la configurazione più potente esistente sulla faccia della terra…) e frame rate sempre attorno ai 50 fps, insomma questo pc spacca!

Nella nuova e scintillante gallery potete ammirare alcuni scatti della vecchia gloriosa configurazione e del nuovo sfavillante upgrade

17/08/2012

Nuovi giocattoli

Yum yum!!!

15/08/2012

Progetto DebianPad

Uno degli obbiettivi che mi ero prefisso di portare a termine durante queste ferie agostane era il progetto DebianPad, ovvero la migrazione del mio fido ThinkPad T500 da Windows 7 Professional a Linux, preferibilmente Debian Weezy.

L’installazione e configurazione di Debian è filata liscia “come il culo di un bambino”(cit), ho fatto funzionare praticamente tutto, dal client Oracle ad Apache Directory, ho trasferito tutto, virtualizzato e fatto girare con Vmware Player la mia vecchia istanza di Win7, ho pure reimportato tutte le chiavi private per accedere ai server e ai repository svn e git… ma è rimasto quell’unico insormontabile scoglio che risponde al nome di IBM, più precisamente IBM Lotus Notes.

IBM rilascia ufficialmente una versione del client Notes di base per linux, pacchettizzata rpm (per RedHat e Suse) e deb (principalmente per Ubuntu e Debian) ma solo per sistemi a 32bit, far girare Notes su un sistema operativo a 64bit (che all’alba del terzo millennio dovrebbe rappresentare la norma…) è un’impresa a dir poco avventurosa.

Alla fine ce l’ho fatta, ho fatto girare il client Notes 8.5.3 seguendo una serie di guide che veramente sanno di esoterico, mi sono addentrato a colpi di machete nella selva di dipendenze e ne sono uscito vincitore, ho visto il client Notes girare su Debian Weezy e poi anche su Ubuntu 12.04.
Il vero problema però è un altro, non esiste una versione per linux del corrispondente client Lotus Administrator e Designer, e questo è un grosso, grossissimo problema per il sottoscritto.

Mi sono illuso che sarebbe stato sostenibile avviare alla bisogna il client Administrator e Designer da virtual machine Vmware, in realtà provandolo un paio di giorni ho sperimentato quanto sia logorante dipendere da una macchina virtuale locale per fare le cose che veramente servono…

Non è un limite di linux, è una stramaledetta merdata made in IBM, che all’alba del terzo millennio non si decide a rilasciare il client di sviluppo e di amministrazione per linux (idem per MacOS X) di uno dei loro prodotti più sbandierati, diffusi e multipiattaforma (per lo meno lato server), prodotto che dalla versione 8 ha visto una vera e propria nuova giovinezza!
Ma oltre il danno c’è pure la beffa di un client base che esiste solo in versione 32bit e per farlo girare su OS a 64bit occorre varcare la soglia tra informatica e rito voodoo, una cosa che all’alba del terzo millennio non è davvero accettabile… per fino installare un cluster di WebSphere Portal o un RAC Oracle è infinitamente più semplice.

Ora scatta una bella mail cazziatone a quel genio di Ed Brill, anzichè perdere tempo e sparare cazzate a vanvera su cagate social farebbero bene a sistemare il software che hanno in casa e che i loro clienti e partner realmente usano.

12/07/2012

Digital delivery

Ho sempre avuto un pessimo rapporto con quello che oggi pomposamente si definisce “digital delivery” (DD).

Per me un videogioco ha sempre rappresentato una passione, un piacere, non solo per il prodotto digitale in se, ma anche per il più tradizionale e feticista aspetto materiale.
Già perchè i miei giochi me li godo, li finisco praticamente sempre (le eccezioni le conto sulle dita di una mano) e amo collezionarli, amo vederli in bella mostra ricoperti da quel sottile velo di polvere che si infila tra una confezione amaray e l’altra.

Amavo alla follia le vecchie confezioni, quelle di una volta, quando tornavi a casa con il videogioco nuovo nella sua bella scatolona, con gadget, manuali, supporti ottici o magnetici (insomma i floppy disk per capirci…).
Assaporavo l’apertura della scatola delle meraviglie, e periodicamente tornavo a riesumarla dallo scaffale di turno, riguardando i gadget, quella mappa in stoffa di Britannia, quel curioso sistema anticopia delle avventure Lucas Arts, piuttosto che il “nastro” di cd di Baldur’s Gate, il manuale di Indycar Racing o i floppy di Day of the tentacle.

Quando le belle confezioni di una volta sono state sostituite dai pratici ma asettici box amaray mi sono veramente incazzato, all’inizio li ho rifiutati rifugiandomi nel falso mito della pirateria “di protesta”, poi gioco dopo gioco vedere quelle confezioni ordinate e impilate una sopra l’altra, ognuna con la sua costina, tutte uguali ma diverse… beh quella visione ha riacceso la fiamma feticistica del collezionismo.

Ora qualcuno dirà che tra un po’ anche vedere la lista dei miei giochi su Steam farà lo stesso effetto, se così fosse dovete spiegarmi perchè gli unici giochi che io abbia comprato e non abbia mai toccato (o al massimo giocato un paio d’ore) sono proprio prodotti distribuiti in DD da Steam.
Gli altri giochi che ho registrato in Steam ma che ho fisicamente comprato li ho tutti finiti, quelli invece distribuiti unicamente in DD sono intonsi, immobili, non mi provocano alcuna emozione, non li sento miei, mi provocano le stesse emozioni di un discorso di Mario Monti, encefalogramma piatto.

E poi quella domanda subdola e ricorrente che non fa che tornarmi in mente ogni volta che sento parlare di DD come del futuro ineluttabile della distribuzione.
Perchè dovrei spendere di più (i prezzi dei videogiochi distribuiti in DD sono mediamente molto più alti delle controparti distribuite su supporto fisico) per avere lo stesso, sobbarcandomi una serie di costi impliciti (linea ADSL intasata per il download per giorni, PC da gaming acceso ininterrottamente per giorni con i suoi 160W di assorbimento in idle) e subendo una serie di disagi?

E’ fin troppo evidente che c’è qualcosa che non va se il modello di distribuzione tradizionale (che include stampa dei supporti, confezionamento, trasporto, distribuzione all’ingrosso e distribuzione al dettaglio) costa meno di un altro modello (il DD) che non prevede tutte queste fasi ma si basa su un servizio centralizzato di download digitale.
Non so come la pensate ma io mi sono stufato di farmi prendere per il culo da costoro e dai profeti del “non puoi farci niente, è il futuro”… stronzate.

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